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Udite, udite oh rustici!» grida il ciarlatano Dulcamara per attirare la popolazione di un piccolo paese e vendere ai più ingenui i suoi intrugli. Tra questi c’è Nemorino, un ragazzotto che acquista a caro prezzo l’elisir d’amore per sciogliere il cuore della fredda Adina. Gli effetti del magico liquore saranno deludenti: solo la bontà e la fermezza di Nemorino conquisteranno la bella, facendole versare «una furtiva lagrima».
L’elisir d’amore è l’opera di Donizetti più rappresentata: al suo debutto, nel 1832, il successo fu tale che l’autore stesso ne rimase sbalordito. Il lavoro ha effettivamente qualcosa di miracoloso perché riesce a divertire e a commuovere contemporaneamente: il merito è di Felice Romani, il miglior librettista del tempo, e soprattutto di Donizetti, che scrisse una partitura leggera in cui spiccano la voce sentimentale dei fiati, melodie capaci di toccare l’anima e cori brillanti. Nella nuova coproduzione con il Teatro Regio di Parma, il regista Daniele Menghini trasforma questo racconto d’amore in una fiaba magica, popolata da burattini e marionette che cantano e danzano. Vestirà i panni del timido Nemorino René Barbera, tenore elegante dalla voce morbida, che considera questo uno dei suoi personaggi preferiti; il soprano Federica Guida, nel ruolo di Adina, saprà dimostrare il suo talento versatile tanto nei numeri vivaci quanto in quelli sentimentali; accanto a loro, due esperti e brillanti artisti: Davide Luciano come Belcore e Paolo Bordogna come Dulcamara. Dirige il maestro Fabrizio Maria Carminati, artista carismatico ed esperto del repertorio belcantistico.
Verdi, grande uomo di teatro, provava un’autentica ammirazione per il drammaturgo francese Victor Hugo, capace di inventare congegni drammatici perfetti e di mescolare il comico e il tragico, il grottesco e il sublime. Tra tutte le creazioni di Hugo, il compositore considerava Le Roi s’amuse «il miglior dramma dei tempi moderni» e per questo desiderava ardentemente metterlo in musica. Realizzò il progetto nel 1851 con Rigoletto, un’opera potente, che racconta di un giullare deforme la cui cieca sete di vendetta lo porterà a perdere il suo unico tesoro, l’adorata figlia Gilda.
Nel protagonista rabbia e dolore impediscono lo sfogo lirico: al Teatro Regio il complesso personaggio è affidato a George Petean, acclamato baritono verdiano tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. Piero Pretti, applauditissimo la scorsa stagione come Riccardo in Un ballo in maschera, torna in uno dei suoi ruoli iconici, il duca di Mantova, l’aristocratico dissoluto per cui Verdi scrisse le arie più irresistibili, «Questa o quella per me pari sono» e «La donna è mobile». Giuliana Gianfaldoni sarà Gilda, un’adolescente mossa dalla passione e dalla generosità. Lo spettacolo è firmato da Leo Muscato: il pluripremiato regista torna al Regio con il team creativo artefice della felice produzione di Agnese di Paer, vincitrice del Premio Abbiati nel 2019. Dirige il maestro Nicola Luisotti, un esperto dell’opera italiana, acclamato a livello internazionale.
Čajkovskij considerava La dama di picche il suo miglior lavoro in assoluto: compose l’opera nel 1890 spinto da un’ispirazione travolgente, su un libretto del fratello tratto da un racconto breve di Puškin, uno dei più celebrati poeti russi. La storia è ambientata a San Pietroburgo, alla fine del Settecento. Il protagonista, Hermann, scopre che una vecchia contessa possiede un metodo infallibile per vincere a carte: essendo ossessionato dal gioco d’azzardo, per ottenere il segreto seduce Liza, la nipote dell’anziana. Il compositore riesce in modo magistrale a temperare il senso di tragedia imminente, espresso in arie di grande intensità e dolore, con pagine permeate di nostalgia per il passato, in cui si rende continuamente omaggio allo stile rococò e a Mozart, di cui Čajkovskij era un fervente ammiratore.
Nell’allestimento firmato da Richard Jones per la Welsh National Opera, l’azione si sposta nella Russia dei primi anni del Novecento, in cui convivono i relitti della grandiosità imperiale e il caos post-rivoluzionario. Le allucinazioni di Hermann acquistano così risvolti grotteschi, per essere risolte scenicamente in modo sorprendente. Il giovane maestro Valentin Uryupin, dopo il suo brillante esordio al Regio nel 2023 con La sposa dello zar di Rimskij-Korsakov, tornerà a dirigere l’Orchestra e il Coro del Teatro e un gruppo di solisti specializzati nel repertorio russo di fine Ottocento. Insieme a loro, da segnalare il ritorno della gloriosa Jennifer Larmore.
Con le sue danze piene di brio, le scene spettrali e le grandi arie da cantare con il cuore in mano, dalla prima rappresentazione nel 1868 e per settant’anni, Hamlet fu uno dei titoli di punta dell’Opéra di Parigi, diventando il maggior successo di Ambroise Thomas, un’operista della generazione di Wagner e di Verdi con uno stile improntato all’immediatezza. Il libretto è ispirato liberamente all’omonima tragedia di Shakespeare: Hamlet, figlio del re di Danimarca, scopre che il padre è stato ucciso dallo zio, per poter così sposare la regina e impossessarsi del trono. Per smascherare l’assassino, il giovane dovrà sacrificare persino l’amore della fedele Ofelia. Il finale è tutt’altro che scontato.
Abitualmente, il protagonista è interpretato da un baritono, perché così era previsto nel cast della prima. In realtà, Thomas aveva concepito Hamlet come un tenore: negli ultimi anni la partitura originale è stata recuperata, affidando la parte del protagonista al tenore John Osborn per la prima esecuzione. Dopo aver entusiasmato il pubblico torinese nella Fille du régiment, sarà proprio lui a incarnare il principe triste, intonando il celebre monologo «Être ou ne pas être». Sara Blanch sarà Ophélie, la cui pirotecnica aria della follia è una vera sfida per i soprani di coloratura. Lo spettacolo avrà la regia di Jacopo Spirei e la direzione del maestro Jérémie Rhorer, che con la sua consueta sensibilità saprà mettere in risalto le atmosfere contrastanti dell’opera.
“Trionfo completo. Ventina chiamate artisti e maestro.” Con questo telegramma l’editore Sonzogno comunicava nel marzo del 1896 il successo travolgente di Andrea Chénier all’autore del libretto, Illica, che aveva saputo trasformare in una tragedia ardente la biografia di un poeta francese vittima della Rivoluzione francese. Nel dramma, Chénier è un idealista, impreparato ad affrontare le trame del terrore giacobino e innamorato di Maddalena, un’aristocratica in fuga dai rivoluzionari; i due, vittime di Gérard, resteranno uniti fino alla morte. Sollecitato da un testo ricco di dettagli storici e con personaggi mossi da passioni estreme, il compositore Umberto Giordano riutilizzò marce rivoluzionarie, come La carmagnole, e scrisse una cornucopia di arie e duetti magnifici. Poche opere hanno un numero così alto di brani memorabili: Un dì, all’azzurro spazio, La mamma morta e Nemico della patria sono solo alcuni esempi.
La coppia di tragici amanti ha parti vocali impegnative, che richiedono forza espressiva e controllo tecnico: saranno interpretati da due artisti di enorme statura vocale e interpretativa, Gregory Kunde e Maria Agresta. Vestirà i panni dell’antagonista Franco Vassallo. L’opera sarà presentata in un nuovo spettacolare allestimento di Giancarlo del Monaco, esperto regista di fama internazionale che si definisce “un innovatore nel segno della tradizione”. Il podio accoglierà nuovamente il giovane maestro Andrea Battistoni, dopo la sua brillante direzione della Bohème la scorsa stagione.
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