La 'Melanchonia' era una condizione estremamente di moda, ai tempi di Elisabetta Prima Tudor e del suo nipote e successore Giacomo Stuart: quasi nessun vip o aspirante tale - si trattasse di intellettuali, artisti o statisti, di entrambi i sessi - poteva esimersi dall'esserne affetto, era un sintomo e un marchio di eccellenza spirituale e stilistica. Pochi scampavano al trend imperante, e la poesia, il teatro e la musica ne traboccavano, tingendosi di tinte sempre più cupe e meditabonde: lo spettro era amplissimo, dall'introspettiva depressione di Amleto alla paranoica passionalità di Otello, dalle paturnie politiche dell'anziana regina e dei suoi irrequieti favoriti, alle celebri e sconsolate melodie della grande star musicale del periodo, quel John Dowland che significativamente si autodefiniva Semper Dolens.
L'imperante sensazione di intrappolamento entro un mondo imperscrutabile e angosciante che caratterizza in Inghilterra il passaggio dal Cinque al Seicento trova perfetto riscontro in un quello che si potrebbe definire il grande bestseller, l'enciclopedia definitiva dei melanconici: The Anatomy of Melancholy di Robert Burton, classico topo di biblioteca nonché depresso cronico. È a partire dalle analisi e dai consigli di quest'opera fondamentale che MEMEsis prende spunto per un percorso musical-psicologico alla scoperta di un'era non meno della nostra in preda a un’appassionante crisi d'identità.
MEMEsis è un progetto in cui musicisti, aedi, attori, traduttori e divulgatori collaborano per comprendere, elaborare e condividere 'storie' e 'storie di storie'. Il 'meme' sta alla narrazione così come il 'gene' sta al genoma e narrazioni e genomi producono sulla base di informazioni - it from bit - interessanti effetti materiali: organismi viventi e reazioni cognitive e emotive dell'uditorio. A partire da ogni sorta di meme, dunque, MEMEsis: combina, rimescola, contamina e innesta eterogenei microelementi culturali per suggerire e diffondere, favorendone l'evoluzione per selezione, Narrazioni che ci rendano sempre più noi stessi. Molti esseri sono intelligenti, ma solo uno racconta storie: l'Homo Narrans, che forse può coltivare l'ambizione di dirsi Sapiens se riuscirà a migliorare, apprezzare e sviluppare le sue tecnologie narrative.
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