L’“Adagio” in re minore JS 12 è uno dei brani scritti da Jean Sibelius per Quartetto d’archi nell’ultimo decennio dell’Ottocento, un movimento isolato, concepito forse come parte di una composizione completa. Coevo del Quartetto Op.4, il primo con il numero d’Opus, non è tuttavia entrato nel catalogo ufficiale, benché presenti tutte le caratteristiche della scrittura, e in parte dell’ispirazione, matura del compositore È vero che il brano più importante di Sibelius vedrà la luce solo dopo quasi due decenni, ma già in questa pagina vengono espressi, per quanto a livello embrionale - oltre a una solennità melodica austera e meditativa - aspetti di espansione tematica e di concezione del suono che troveranno piena concretizzazione nel capolavoro “Voces Intimae” del 1909. Sicuramente l’autore deve averlo considerato inizialmente soddisfacente, ma un cambiamento di opinione improvviso, in corso d’opera, giustificherebbe una conclusione piuttosto sbrigativa per un’opera per certi versi ambiziosa. La parabola artistica di Ernest Bloch trova linfa creativa nella Musica della tradizione ebraica, rievocando fortemente l’atmosfera e la dimensione espressiva. Anche del brano “Night”, per Quartetto d’archi, si intravvede sullo sfondo questa ambientazione culturale, nella luce sonora arcana, mistica e lontanamente esotica, nell’incedere ostinato, ossessivo e quasi spettrale nelle figurazioni di viola e violoncello, nelle dissonanze mai troppo dure ma sempre presenti nella narrazione. Una visione per archi di un’espressionistica notte inquieta, in cui solo alla fine intravediamo una pallida luna consolatrice. La profonda e lucida concezione di architettura in Musica da parte di Federico Ermirio - sia nell’idea di edificio sonoro sia nella visione della scrittura strumentale - trova una piena manifestazione in “Lythos”, per Quartetto d’archi, opera di straordinaria forza espressiva e poetica, dove il compianto compositore ligure si pone a pieno titolo come erede di Petrassi, Dallapiccola e Berio. L’aggressività ritmica e la pienezza polifonica, spesso a otto parti, trovano sovente risposta in momenti più intimamente rarefatti, in una dimensione espressiva in cui i rapporti intervallari - fatto costante nell’estetica dell’autore - assumono significati profondi, arrivando anche a sovvertire i canoni di consonanza e dissonanza, dove la prima può risultare cruda e tagliente come la seconda brillare di eufonica dolcezza. Il Quartetto “Cammina”, composto da Andrea Basevi originariamente come commentario al testo “L’uomo che cammina” di Christian Bobin, parte da un gesto: il camminare, l’andare verso, non è casuale l’autore ci dice che “Il movimento è dare tutto te stesso”. Se noi stiamo fermi è impossibile che entriamo in comunione con qualcuno, così come la musica è un gesto che comporta movimento, è un linguaggio che sottende relazioni che ognuno di noi può fare sue. I cinque movimenti rappresentano altrettanti momenti del nostro camminare verso gli altri, con le mani tese, in accoglienza e ascolto. Nel primo movimento la melodia passa tra gli strumenti con il contrappunto, per me il mezzo più giusto per unire le varietà, nel secondo una melodia quasi popolare è dilatata nel tempo così come avviene nel terzo dove un ricordo lontano di Bach viaggia nell’aria, nel quarto il cuore pulsa calmo nella parte del violoncello sopra un tappeto degli altri archi con un omaggio ad un quartetto di Kurtag: l’uomo è solo e medita ma ecco che nel finale tutto si apre nelle volute che come abbracci ci accolgono.
[Maurizio Cadossi]
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