Il movimento letterario e artistico chiamato Sturm und Drang - nato e sviluppatosi tra gli anni sessanta e ottanta del Settecento, che si caratterizzò in Musica per un linguaggio intriso di espressione drammatica ed emotiva, un’accentuata enfatizzazione dei contrasti e un’armonia patetica e tensiva - coinvolse molti compositori del periodo. Wolfgang Amadeus Mozart fu abbastanza tiepido nei confronti di codesto fenomeno artistico, ma ciò non gli impedì di creare, sotto tali impulsi, opere di straordinario valore artistico, come, per esempio, il Quartetto in re minore per archi K. 173 e la Sinfonia in sol minore K. 183 (Piccola sol minore). Il Quartetto in fa maggiore K. 168, composto a Vienna nel 1773, risente di questo humus emotivo “Sturmer”, sia per la tendenza alla irregolarità delle frasi dell’“Allegro” iniziale (pur su uno sfondo di generale simmetria), che si susseguono con contrasti e accentuazioni nel consueto proliferare di temi tipicamente mozartiano, sia per la tonalità cupa e patetica di fa minore dell’“Andante” successivo. La Fuga finale, “Allegro”, dopo un apparentemente ingenuo “Minuetto”, conclude - in un’epoca dove il linguaggio contrappuntistico era un esercizio di stile - in modo brillante e per nulla accademico. Di tutt’altra essenza, ma non troppo, il coevo Quartetto in mib maggiore K. 160, dove è vero che troviamo un sereno “Allegro” iniziale senza ritornelli che avvicinerebbe questa composizione ai Divertimenti per archi, ma il “Poco Adagio” seguente prende avvio in una dimensione armonicamente sfuggente portando a una seconda idea straordinariamente affascinante proprio per la sua mancanza di definizione. Il “Presto” finale, l’unico scritto in Forma Sonata dei movimenti finali quartettistici del compositore salisburghese, conclude con ritmi di marcia un vivace movimento dove riecheggia la sinfonia d’opera napoletana. I Quartetti per archi Op.2 del 1761 di Luigi Boccherini, scritti dopo il soggiorno viennese del 1760 - dove ebbe modo di farsi apprezzare come violoncellista e compositore da W.C. Gluck, fra gli altri - risentono della vicinanza di compositori come Giuseppe Maria Cambini, Pietro Nardini e Filippo Manfredi. Non a caso l’intestazione dei Quartetti reca scritto “dedicato ai veri dilettanti e conoscitori di Musica”. I suddetti musici, infatti, non erano dilettanti ma professionisti, e ciò potrebbe far pensare che l’intenzione da parte dell’autore, accanto al piacere che si può dare ai semplici amatori, fosse quella di compiacere i musicisti a pieno titolo. Anche considerando che i già sopra citati colleghi, verità o leggenda che sia, saranno coloro che daranno vita, insieme al compositore lucchese, al primo Quartetto della Storia. Tali opere hanno, secondo chi scrive, poco da invidiare alle contemporanee composizioni di Joseph Haydn, il quale indiscutibilmente raggiungerà, anni dopo, i vertici di tale forma. Il Quartetto in do maggiore n. 6 Op. 2 esordisce con un “Allegro con spirito” in tempo ternario, ricco di richiami, imitazioni, contrasti e patetismi su uno sfondo ritmico vivace e in un’atmosfera solare, dove nulla lascia presagire la presenza di un secondo movimento, “Largo assai”, fosco e patetico, con un incedere lugubre e a tratti marziale. Era poi consuetudine chiudere con movimenti in forma di Rondò, o Tema e variazioni, o con un movimento di danza, come nel caso del nostro Quartetto in do maggiore. L’intento degli autori dell’epoca era quello di terminare risolvendo nel modo più rassicurante possibile la composizione, e in questo Boccherini riesce pienamente, con un finale fine e gradevole, ma forse fin troppo leggero e semplice, che trasmette in realtà la sensazione che l’intera opera meritasse forse un finale più importante. I Quartetti concertati del cuneese Antonio Bartolomeo Bruni, splendido esempio di quell’artigianato musicale che contribuirà in maniera fondamentale alla creazione dello stile classico viennese, ebbero all’epoca grande diffusione e popolarità in tutta Europa. Purtroppo il compositore piemontese subì la sorte di decine di compositori italiani vissuti a cavallo tra il Secolo dei Lumi e il primo Romanticismo, tanto celebrati e apprezzati in vita quanto quasi completamente dimenticati in seguito. Il Quartetto in re maggiore n. 5, in due soli movimenti - cosa piuttosto in uso nella Musica da Camera - tratto dal Libro IV, senza data ma riconducibile ai primi anni ottanta del XVIII secolo, è uno splendido esempio di come si possa modellare il materiale musicale ad altissimi livelli. L’“Allegro vivace” presenta tutti i cliché alla moda dell’epoca, elaborati con grande maestria, in un estroverso fluire del discorso musicale, e il “Rondò”, grazioso e raffinato, è una carezza incipriata ma molto ben disegnata per un degno finale. I musicisti del Bel Paese, nel lasso temporale che verrà definito “Classicismo”, entrarono, come dicevamo, nel dimenticatoio, a motivo soprattutto della figura spaventosamente grande di Mozart, che in qualche modo fece terra bruciata anche attorno ai compositori tedeschi. Ma dobbiamo anche ricordare che ciò che il salisburghese costruisce, realizzando edifici con architetture perfette, lo ottiene utilizzando e rielaborando, in modo geniale, materiali sonori che trovano origine nella Musica strumentale e vocale italiana, e che la stessa “Wiener Klassik” non avrebbe avuto modo di esistere senza le parabole artistiche degli autori della penisola italica.
[Maurizio Cadossi]
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