* Chloe Mun rende omaggio ad Arturo Benedetti Michelangeli interpretando una composizione prediletta del Maestro
Omaggio all'Arte pianistica di Arturo Benedetti Michelangeli 2024
Baldassare Galuppi fu uno dei maggiori operisti veneziani del Settecento, e spesso collaborò con Carlo Goldoni. Si distinse anche come clavicembalista e, tra le sue Sonate, spicca quella in Do maggiore attestata in un manoscritto della biblioteca del Conservatorio di Brescia e resa famosa da un’incisione discografica di Arturo Benedetti Michelangeli. La successione dei tre movimenti non corrisponde a quella canonizzata dal classicismo viennese, ma propone in apertura un incantevole Andante, seguito da due tempi rapidi.
Nel 1898 Ferruccio Busoni trascrisse per pianoforte dieci preludi-corali organistici di Bach, tra cui il suggestivo Wachet auf, ruft uns die Stimme (Svegliatevi, ci chiama la voce), utilizzato anche nella famosa aria per tenore dell’omonima cantata BWV 140.
Composta nel 1730 e data alle stampe l’anno successivo, la Partita n. 6, BWV 830 di Bach è l’ultima delle Partite per clavicembalo e segna il culmine espressivo, tecnico e architettonico dell’intera raccolta. La tonalità di Mi minore accentua l’affetto sofferto e patetico che si afferma immediatamente nella mirabile Toccata iniziale, articolata in un esordio quasi improvvisatorio, cui segue un fugato a tre voci e una riesposizione variata dell’incipit. “Partita” è sinonimo di “Suite”, che significa successione di varie danze. In questo caso troviamo le immancabili Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga, per lo più di carattere malinconico, con l’aggiunta di un’Aria e di una Gavotta in funzione di alleggerimento della straordinaria tensione emotiva.
Le Dieci Variazioni su un Preludio di Chopin derivano da una precedente serie di Variazioni e Fuga sul Preludio in Do minore, Op 28 n. 20, che Busoni aveva composto nel 1884 all’età di diciotto anni. Nel 1922 il famoso pianista e compositore italiano aggiunse una breve introduzione e ridusse il numero delle variazioni da diciotto a dieci (in seguito, con l’eliminazione della variazione a fantasia il numero si ridusse ulteriormente a nove). Le pagine conclusive presentano uno Scherzo in stile di tarantella con un ‘Hommage à Chopin’ idealmente ispirato al Valzer di un minuto. Anche Rachmaninov, nel 1903, indipendentemente da Busoni, comporrà un ciclo di variazioni sullo stesso Preludio chopiniano.
Chopin ideò la serie dei ventiquattro Preludi, Op. 28 tenendo presente l’imprescindibile modello di Bach, ma apportando il sigillo della propria inconfondibile personalità. Non aveva infatti precedenti storici una raccolta di Preludi che non fossero seguiti da altri pezzi. Nel primo Ottocento esistevano pubblicazioni di Preludi per pianoforte, ma si trattava di solo concise improvvisazioni messe per iscritto, prive di grandi ambizioni artistiche e destinate a introdurre composizioni più ampie ed elaborate. Anche per questo motivo, lo scrittore André Gide si domandava: “Preludi a che cosa?”. Poi, sull’esempio di Chopin, molti altri compositori avrebbero scritto Preludi di questo genere, come nel caso di Skrjabin, Debussy, Rachmaninov e molti altri. L’aurea raccolta chopiniana, composta per lo più durante un travagliato soggiorno nell’isola di Maiorca, venne pubblicata nel 1839. Nel tardo Novecento, fra i grandi pianisti, è prevalsa l’idea di un ciclo unitario, ma in origine l’autore non pensava necessariamente a un’esecuzione integrale. Si trova una grande varietà stilistica in questi pezzi, molti dei quali assai brevi, tanto che Schumann li definì “schizzi, incipit di studi, o frammenti di rovine, penne d’aquila”. Nel n. 7 si può riconoscere una Mazurka lenta, nel n. 15 un Notturno, nel n. 17 una Romanza senza parole, mentre i numeri 8, 12, 16, 19 e 24 sono paragonabili a Studi. Di regola si alternano tonalità maggiori e minori, tempi veloci e lenti. L’enigmatico Preludio n. 2, forse il meno comprensibile per un ascoltatore dell’Ottocento, non per caso fu dal regista Ingmar Bergman per accompagnare una delle scene psicologicamente più intense nel film Herbstsonate (letteralmente “Sonata d’autunno”) (1978), mentre il celeberrimo n. 4 sembra già anticipare il cromatismo wagneriano del Tristan und Isolde. Secondo una recente proposta interpretativa del musicologo Anatole Leikin, il lugubre canto liturgico del Dies irae (udibile con chiarezza proprio nell’accompagnamento dell’enigmatico n. 2) avrebbe ispirato la maggior parte di questi pezzi.
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